Bentornato Zzap!

Ormai è di dominio pubblico, per cui non c'è motivo di tenermi ancora tutto dentro: ebbene sì, da qualche settimana, stavo lavorando in gran segreto su un nuovo numero di Zzap!, la rivista che mi ha fatto "nascere" come giornalista e mi ha permesso di fare, in qualche modo, carriera. Al punto che, a soli 19 anni, ero capo redattore di un periodico a tiratura nazionale. Una cosa di cui raramente ho fatto vanto, ma che mi ha sempre riempito il cuore di orgoglio. Da quel maledetto dicembre del 1992, quando la rivista fu inglobata dentro a The Games Machine come inserto e, a maggior ragione, dal dicembre del 1993 quando apparì un triste GAME OVER in copertina, sogno di riportare in vita Zzap!. L'ho fatto almeno altre due volte: come sito nel '96 e come numero a sé stante in PDF, nel maggio del 2002. Mancava la proverbiale, ineluttabile terza volta. Ma cosa mi lega in questo modo così viscerale a quelle quattro lettere e a quel punto esclamativo?


In una parola: l'amore. L'amore ricambiato di un figlio. Uno di quei tanti ragazzini che nella prima settimana del mese si recavano petulanti all'edicola chiedendo se fosse uscito il nuovo numero di Zzap!, perché Zzap! era la nostra internet e la sua rubrica della Posta il nostro social network. Noi figli di Zzap! formavamo un club esclusivo (se non altro, perché quando leggevamo la rivista in pubblico, gli altri tendevano a escluderci), legato dalla comune passione per il Commodore 64 o per qualche altro sistema suo contemporaneo. Per me era un sollievo leggere le recensioni per stemperare lo stress dello studio. Era un brivido farlo a scuola, fingendo di stare attento (dai, confessiamolo: lo abbiamo fatto tutti) alle lezioni di Storia o di Filosofia. E, quando ero ancora un ragazzino, sognavo di entrare a fare parte della Redazione, immaginando quali fossero le espressioni migliori da mettere nei miei "santini", cioè le immagini dei redattori che aprono i commenti. Mi sarei unito ai miei idoli, che non erano persone che tiravano una palla o urlavano in un microfono (intendiamoci, ci vuole molta abilità anche per fare queste cose), ma che scrivevano. Videogiocavano e scrivevano, le due cose che amavo fare di più, maniaco com'ero del C128 e grafomane per inclinazione naturale.


Per questi motivi ho amato alla follia Zzap! e ho cercato sempre di trovare un po' di lei in tutte le riviste per cui ho scritto, o che ho semplicemente letto. Invano, perché Zzap! non era Zzap! solo perché era Zzap!, con la sua personalità unica e irripetibile, ma perché in Zzap! io ci riflettevo me stesso e l'immagine che vedevo mi piaceva un sacco. Zzap!, in altre parole, era mia. E lo è stata ancora di più quando ne sono diventato redattore-capo. Poterla non solo leggere e scrivere, ma anche plasmare a mio piacimento, è stato un privilegio e un onore che non ho mai dimenticato. Una passione di cui ho dovuto fare a meno per tanto tempo, troppo. E in questo momento di grande spolvero per il Commodore 64, tornato addirittura sugli scaffali dei negozi, seppur tra mentite spoglie, non poteva davvero mancare la "sua", mia, nostra rivista.


Così, quando se ne è presentata l'occasione e ho trovato altre persone interessate al suo ritorno, ho rotto ogni indugio e radunato la migliore Redazione possibile. Ho sentito il mio amico (nonché fratello non-anagrafico, come solo certi amici possono essere) Davide Corrado, ho tirato dentro l'ottimo Danilo Dellafrana (un grandissimo conoscitore di videogiochi che aveva contribuito anche al numero 85 di Zzap!, nel 2002, per poi iniziare un'invidiabile e tuttora perdurante collaborazione con The Games Machine) e condiviso le mie intenzioni con Nicola Morocutti, un esperto di magazine underground che viene dall'esperienza di Bitplane, rivista "home-made, ma fatta bene" su Amiga. Ci siamo sentiti al telefono, su Skype, su Whatsapp e, nel giro di due settimane, abbiamo messo in piedi un numero 0 di 16 pagine, con cui cercare di convincere i detentori dei diritti della bontà del nostro progetto. Alla fine, seguendo anche i consigli del saggio Bonaventura di Bello, che mi aveva preceduto diversi anni prima alla direzione ed è stato anche il "mio" direttore, in carica il giorno del mio debutto su Zzap!, abbiamo sottoposto il tutto a Chris Wilkins, Oliver Frey e Roger Kean, ovvero chi detiene oggi le proprietà intellettuali sulla rivista inglese Zzap!64 e i padri fondatori della medesima.


E non c'è niente da fare: Zzap! è sempre Zzap! anche a 30 anni di distanza. Mi sono divertito un mondo a leggere gli articoli e i commenti scritti dai colleghi. Mi sono impegnato fino in fondo a impaginarli in modo che fossero perfetti, senza sbavature, senza errori macroscopici. Mi è piaciuto un mondo anche mettermi lì e rifare con InDesign la grafica originale della rivista, nello stile di quella dei tempi d'oro (1987-88). E quando mi sono arrivate le poche stampe del numero 0, perché naturalmente lo abbiamo fatto stampare a scopo rappresentativo, l'emozione è stata proprio quella di allora, quell'attimo irripetibile e perfetto in cui l'edicolante, mio salvatore, mi porgeva il nuovo numero della rivista senza sapere cosa ci fosse dietro. Se v'interessa, potete seguire il prossimo link per raggiungere la sua pagina web.

> Portami al sito di Zzap!